Hell's Gate. Adesso.
Osservo gli occhi vitrei e ormai spenti di Beast Man, ed il suo muso peloso inclinato verso il basso, il suo corpo scomposto ed adagiato sull'asfalto sporco di questo vicolo di Hell's Gate come se fosse un giocattolo rotto. Un foro grosso quanto un proiettile gli ha lasciato un buco appena sopra gli occhi. La pioggia serale bagna il corpo di questo ex supereroi, e gli ufficiali della scientifica del NYPD.
Sono Robin Freeman, sergente di polizia. Il più delle serate le passo in questo modo.
< FREEMAN. >
La voce del commissario Floss è inconfondibile. Mi giro nella sua direzione e quei suoi occhi iniettati di sangue e lucidi mi fissano completamente spalancati.
< Signore. >, lo saluto con un rapido cenno del capo, osservando di nuovo il cadavere poco lontano. Alle nostre spalle, i flash dei fotografi ci fanno lacrimare gli occhi.
< E' questo che succederà prima o poi. >, Floss mugugna stringendo tra i denti un sigaro di pessima classe, < finiranno ammazzati tutti, prima o poi. Fascisti. >
< Uhm, signore. >, gli dico, guardandolo dal basso in alto. < Hell's Gate è territorio di Lynx. Potremmo, uhm, rivolgerci a lui per eventuali consultazioni. Come ha fatto, uhm, l'agente Creed in passato con Specter, o con Nailer. >
La calma che precede la tempesta. Capisco che sta per arrivare da quella leggera vena che pulsa sulla tempia di Floss, che sembra stia lì lì per suonarmi un pugno.
< Sergente. Cosa le avevo detto riguardo a Lynx? >
< Uhm, ricercato, signore. Una, uhm, squadra di pattuglia, signore. >
< Lei è un uomo molto perspicace, sergente Freeman. >
< Signore, uhm. I movimenti di Lynx sono molto evasivi. Sembra quasi che sbuchi fuori una volta ogni tre mesi. >
Floss tira su col naso, e si gode il suo sigaro, osservando di tanto in tanto il cadavere di Beast Man.
< Freeman, non me ne fotte un cazzo se Lynx si fa vivo una volta ogni tre mesi, o se come Specter sbuca fuori ogni cinque secondi a cagare il cazzo senza neanche darci il tempo di riprenderci dalla sua ultima avventura. Voglio quel figlio di puttana ammantato di rosso dietro le sbarre. E lo voglio ora. >
La gente non sa mai come relazionarsi con gli eroi in costume. C'è chi lavora per il governo, e chi è costretto alla macchia. Osservo ancora il sergente Floss.
< Signore..? >
< Sì, sergente? >
< Come sta sua figlia? >
Floss mi dà le spalle. Sembra che si irrigidisca per un solo istante, e poi si allontana, diretto verso una volante.
< Continui il suo lavoro, Freeman. La notte è ancora giovane. >
Il Valhalla, il bar extradimensionale. Adesso.
Osservo il riflesso delle lenti dell'Uomo Variabile, prendendo posto alla scrivania del suo ufficio. Mi sfilo via il cappuccio, lasciando che sia soltanto la maschera a coprirmi la faccia. Ma, a quanto pare, sembra che questa sia inutile.
< Oh, bene, Mangrove. Finalmente ti sei deciso. > Il tono della sua voce sembra uscito fuori da un sogno, e come qualsiasi sogno che si rispetti, non riesco bene ad identificarlo. Sembra che questo tizio sfugga alla totalità del reale. Quelle bende gli coprono la faccia, e le mani. Mi sta osservando e qualcosa mi dice che sia... divertito.
< Tranquillo, Mangrove, tranquillo! Te l'ho detto, il potere dell'onniscienza mi sta già abbandonando, e presto non ricorderò più la tua identità segreta. Ma c'è bisogno che parliamo, adesso, il più presto possibile. >
< Prego. >
< Bene. Riguarda Beast Man. Non devi fidarti dei tuoi occhi, Mangrove. Fin dal minimo particolare. Contatta il sergente Freeman, e... >, e si interrompe per un attimo, e si massaggia la tempia, scuotendo la testa. < Il foro sulla sua fronte, che ne ha causato la morte, non è quello che sembra. >
< Il foro del proiettile? >
< Proiettile? Ne sei così sicuro? >
Deglutisco, senza staccargli gli occhi di dosso.
< Che cos'è? >
< Non.. ricordo più. Tutti i pezzi del puzzle si stanno già dividendo. Ma è tutto un disegno più grande, Mangrove. Riguarda te, e la tua famiglia. Riguarda il giardino felice, Mangrove, e della serpe che vi era all'interno nascosta. Riguarda Moorish Island. >
Che siano passati dodici anni da allora, non cambia assolutamente nulla. La sogno ancora, la notte. Sogno ancora l'assassino alle mie spalle, che mi lascia andare via.
Cattivi da fumetto.
< Sarà meglio che tu vada... Lynx, prima che non ricordi più niente, e non sia più tanto accondiscendente nel trovare un uomo mascherato all'interno del mio ufficio privato. >
Mi alzo, e mi dirigo fuori dall'ufficio dell'Uomo Variabile. All'interno del bar, i superumani fanno ancora festa, ed io devo ancora cercare informazioni riguardo Beast Man. Ciò che mi ha detto il proprietario di questo posto non basta. Ma una cosa è sicura. Devo riuscire a convincere Freeman di lasciarmi esaminare il cadavere di Beast Man. Se tutto non è ciò che sembra, allora cos'è che ha causato la morte di quel superumano? Non un proiettile, e allora...
Mi ritrovo di nuovo al primo piano, e manco me ne sono accorto. La musica mi trapana le orecchie. Prendo posto al bancone, mentre un droide mi si avvicina e mi chiede cosa desideri bere.
Sarà una lunga notte.
domenica 22 aprile 2012
mercoledì 18 gennaio 2012
Il Killer di Maschere - parte seconda
Il motore dell'hyper adapter urla sotto la spinta dell'acceleratore. E' pomeriggio inoltrato ormai, ed io mi sto dirigendo fuori da Manhattan. La Grande Mela diventa sempre più piccola attraverso lo specchietto retrovisore. Riesco a sorpassare le altre automobili tra lo stupore generale dei Newyorkesi, e mi dirigo verso la Contea dell'Essex, vicino Newark.
Sto pensando ancora agli occhi di Beast Man, e a quel foro di proiettile. Chi ha potuto coglierlo di sorpresa? Se è vero che possedesse un olfatto superumano, come ha fatto a cadere vittima di un agguato? Dovrei chiedere aiuto al Sergente Freeman, ora che il NYPD si occuperà dell'autopsia. Ma come posso? Lynx è ricercato.
Nel silenzio assordante dell'abitacolo dell'hyper adapter penso al Commissario Floss. Perché vuole me? Io non sono l'unico che va in giro con mantello e mascherina, non sono l'unico che dà la caccia ai criminali. Perché proprio me? Che qualcuno l'abbia pagato per eliminarmi dalla piazza?
Comincio a diventare paranoico? Dopo pochi mesi dalla mia entrata in scena. Mi sono allenato tanto solo per perdere la bussola dopo neanche un anno all'attivo?
Parcheggio l'hyper adapter nel cortile di un edificio sperduto tra le campagne appestate dallo smog dell'Essex. Di fronte a me, illuminato dagli ultimi raggi del sole morente, c'è questo edificio fatiscente, ormai abbandonato da quasi vent'anni.
L'Accademia degli Eroi. Qui, negli anni '60, gli eroi dello stato di New York si riunivano per allenamenti, riunioni, feste di Natale. Ma gli eroi degli anni '60 non se li ricorda più nessuno. Osservo per un attimo il bigliettino che ho sottratto al corpo di Beast Man.
Il Valhalla. Bar extradimensionale per Superumani.
Avanzo verso la porta d'ingresso malridotta di questa caserma per supereroi e con un calcio ben piazzato la butto giù. Con la lanterna miniaturizzata contenuta nella Lynx-cintura riesco a fare un po' di luce. Un po' mi aiuta anche il tramonto alle mie spalle.
< Chi sei tu? >, dice una voce alle mie spalle. Mi volto, e vedo emergere dalla penombra del corridoio abbandonato un vecchio ingobbito e dallo sguardo malinconico.
< Mi scusi, signore. Non sapevo che ci fosse ancora qualcuno, qui. >
< Oh, qui ci sono solo io, ormai. Sono il custode. Questo posto non è adatto per gli eroi di oggi, questo è un posto che va visitato sul calar del sole. >
Si prende una pausa, e deglutisce.
< Questi eroi moderni non è che mi piacciano molto, lo sai, giovanotto? Violenti, volgari, assassini e fanatici. Ai miei tempi si usavano gadget ultratecnologici che qualche scienziato tedesco sfuggito dalla Germania nazista preparava per noi. Oggi è solo una gara a chi tiene il fucile più grosso. >
Lo osservo per qualche istante, poi gli mostro il bigliettino.
< Credevo di poter trovare qui informazioni su questo bar extradimensionale. Il Valhalla. Ma dato che lei è qui, può aiutarmi, non crede? >
Con le sue mani raggrinzite afferra il biglietto e se lo studia per un po'.
< Ricordo il Valhalla. Pensavo fosse fallito. E' ancora gestito dall'Uomo Variabile? Avrò avuto circa vent'anni la prima volta che ci ho messo piede. Lo sai, allora mi facevo chiamare lo Sparviero della Mezzanotte. Non ero un superumano, ma un avventuriero in costume, proprio come te. Anche tu usi strani aggeggi e fai affidamento al tuo saldo allenamento acquisito da chissà quale maestro orientale, vero? Ti ci manca solo un sidekick adolescente sessualmente ambiguo. >
< Lei è molto gentile, signore. Ma come posso arrivare al Valhalla? >
< Oh, è semplicissimo. Lo sai, uno della nostra confraternita, lo Stregone Supremo, creò questa sorta di varco nello spazio e nel tempo cui fosse possibile accedere soltanto pronunciando il suo nome.
Non ci ho mai capito molto di fisica quantistica, giovanotto. Tutto quel che io potessi offrire era solo un buon gancio destro. Quel bigliettino mi è nuovo, a dir il vero. Probabilmente quel codice a barre serve ad identificarne il possessore. Non credo che i bodyguard ti lasceranno passare. >
< Ho i miei metodi per passare inosservato, signore. Ricorda l'allenamento ed il maestro orientale? >, gli faccio l'occhiolino, e lui mi sorride di rimando.
< Tu mi piaci, giovanotto. Mi sembra proprio di rivedere me stesso ringiovanito di trent'anni. Ecco, ora ti scrivo su questo cruciverba il nome che devi pronunciare. >
Estrae dalla sua salopette un fogliettino di carta, e ci scrive su un nome.
< Ecco a te. Torna a trovarmi qualche volta. >
Osservo il nome scrittoci sopra, e sorrido, tra me e me.
Pronuncio il nome, e vengo inghiottito da un caleidoscopio di colori e suoni.
Mi ritrovo su una passerella metallica che conduce ad un edificio, una titanica bolla di cristallo sospesa in un universo fatto di luce e silenzio. La passerella è deserta, e due enormi omaccioni completamente nudi che sembrano fuoriusciti da un dipinto dallo stile ellenico mi attendono con le mani incrociate.
< Lynx di Manhattan? >, mi fanno.
< Chi lo vuole sapere? >
<Quello che possiede questo posto, imbecille dal pacco lucido. Sapeva del tuo arrivo. Ha detto che vuole vederti. >, e mi lasciano passare.
Il Valhalla è tutto ciò che ci si potrebbe aspettare da un posto del genere. Superumani in armature scintillanti che sorseggiano drink, droidi che compongono ballate e poemi usando codici binari, creature mitologiche ed angeli che bevono ai banconi fatti di pura luce, Asteroidi viventi grossi quanto automobili che intrattengono conversazioni riguardanti etica e morale con eroi in costume provenienti da pianeti morenti e cresciuti da contadini del Kansas, Dj metà uomini e metà androidi, programmi antropomorfici catapultati fuori dal computer. Tutto questo davanti a me, una sala circolare colorata come un prisma, che alterna tonalità che vanno dal rosso acceso al viola scuro. Una sala a più piani, al cui centro parte una scala a chiocciola che conduce fino alla sommità del locale, dove immagino ci sia l'ufficio del proprietario.
E tutto quel che riesco a pensare adesso è: ma un cazzo di ascensore?
Mi faccio qualcosa come cinque piani a piedi, ma cosa sarà mai quando ho dalla mia un allenamento che fa di me un avventuriero in costume? E a allora, eccomi, all'ultimo piano. Posso quasi toccare la superficie di questa bolla. Ma non sono qui per comportarmi come un adolescente. Mi avvicino alla porta dell'ufficio, ma prima che possa bussare, qualcuno mi dice
< Avanti. >
E la voce è strana. Come se non riuscissi a catalogarne il timbro, come se non riuscissi a capire se sia la voce di un uomo o di una donna, se sia vecchio o giovane, se sia una voce piacevole o terribilmente inquietante.
Faccio il mio ingresso nell'ufficio.
< Ciao, Mangrove. >
L'interno è un semplice ufficio come sarebbe quello di un tipico dirigente di banca. Ambiente asettico, freddo, non come il resto del locale.
< Chi è Mangrove, signore? >
< Ehi, Mangrove. Dai. Non prendermi in giro. Sono l'Uomo Variabile. Adesso ho il potere della preveggenza, ma sento già che sta per lasciarmi. Dobbiamo parlare, Mangrove. >
L'Uomo Variabile. Trench rosso, blu e giallo, volto e mani completamente fasciate, ed un paio di lenti scure a coprirne gli occhi.
< Riguardo Beast Man, Mangrove. Adesso ti levi di dosso quell'aria da Crociato Incappucciato della Notte con tanto di mazza in culo, ti siedi, e discutiamo a quattr'occhi? >
Sto pensando ancora agli occhi di Beast Man, e a quel foro di proiettile. Chi ha potuto coglierlo di sorpresa? Se è vero che possedesse un olfatto superumano, come ha fatto a cadere vittima di un agguato? Dovrei chiedere aiuto al Sergente Freeman, ora che il NYPD si occuperà dell'autopsia. Ma come posso? Lynx è ricercato.
Nel silenzio assordante dell'abitacolo dell'hyper adapter penso al Commissario Floss. Perché vuole me? Io non sono l'unico che va in giro con mantello e mascherina, non sono l'unico che dà la caccia ai criminali. Perché proprio me? Che qualcuno l'abbia pagato per eliminarmi dalla piazza?
Comincio a diventare paranoico? Dopo pochi mesi dalla mia entrata in scena. Mi sono allenato tanto solo per perdere la bussola dopo neanche un anno all'attivo?
Parcheggio l'hyper adapter nel cortile di un edificio sperduto tra le campagne appestate dallo smog dell'Essex. Di fronte a me, illuminato dagli ultimi raggi del sole morente, c'è questo edificio fatiscente, ormai abbandonato da quasi vent'anni.
L'Accademia degli Eroi. Qui, negli anni '60, gli eroi dello stato di New York si riunivano per allenamenti, riunioni, feste di Natale. Ma gli eroi degli anni '60 non se li ricorda più nessuno. Osservo per un attimo il bigliettino che ho sottratto al corpo di Beast Man.
Il Valhalla. Bar extradimensionale per Superumani.
Avanzo verso la porta d'ingresso malridotta di questa caserma per supereroi e con un calcio ben piazzato la butto giù. Con la lanterna miniaturizzata contenuta nella Lynx-cintura riesco a fare un po' di luce. Un po' mi aiuta anche il tramonto alle mie spalle.
< Chi sei tu? >, dice una voce alle mie spalle. Mi volto, e vedo emergere dalla penombra del corridoio abbandonato un vecchio ingobbito e dallo sguardo malinconico.
< Mi scusi, signore. Non sapevo che ci fosse ancora qualcuno, qui. >
< Oh, qui ci sono solo io, ormai. Sono il custode. Questo posto non è adatto per gli eroi di oggi, questo è un posto che va visitato sul calar del sole. >
Si prende una pausa, e deglutisce.
< Questi eroi moderni non è che mi piacciano molto, lo sai, giovanotto? Violenti, volgari, assassini e fanatici. Ai miei tempi si usavano gadget ultratecnologici che qualche scienziato tedesco sfuggito dalla Germania nazista preparava per noi. Oggi è solo una gara a chi tiene il fucile più grosso. >
Lo osservo per qualche istante, poi gli mostro il bigliettino.
< Credevo di poter trovare qui informazioni su questo bar extradimensionale. Il Valhalla. Ma dato che lei è qui, può aiutarmi, non crede? >
Con le sue mani raggrinzite afferra il biglietto e se lo studia per un po'.
< Ricordo il Valhalla. Pensavo fosse fallito. E' ancora gestito dall'Uomo Variabile? Avrò avuto circa vent'anni la prima volta che ci ho messo piede. Lo sai, allora mi facevo chiamare lo Sparviero della Mezzanotte. Non ero un superumano, ma un avventuriero in costume, proprio come te. Anche tu usi strani aggeggi e fai affidamento al tuo saldo allenamento acquisito da chissà quale maestro orientale, vero? Ti ci manca solo un sidekick adolescente sessualmente ambiguo. >
< Lei è molto gentile, signore. Ma come posso arrivare al Valhalla? >
< Oh, è semplicissimo. Lo sai, uno della nostra confraternita, lo Stregone Supremo, creò questa sorta di varco nello spazio e nel tempo cui fosse possibile accedere soltanto pronunciando il suo nome.
Non ci ho mai capito molto di fisica quantistica, giovanotto. Tutto quel che io potessi offrire era solo un buon gancio destro. Quel bigliettino mi è nuovo, a dir il vero. Probabilmente quel codice a barre serve ad identificarne il possessore. Non credo che i bodyguard ti lasceranno passare. >
< Ho i miei metodi per passare inosservato, signore. Ricorda l'allenamento ed il maestro orientale? >, gli faccio l'occhiolino, e lui mi sorride di rimando.
< Tu mi piaci, giovanotto. Mi sembra proprio di rivedere me stesso ringiovanito di trent'anni. Ecco, ora ti scrivo su questo cruciverba il nome che devi pronunciare. >
Estrae dalla sua salopette un fogliettino di carta, e ci scrive su un nome.
< Ecco a te. Torna a trovarmi qualche volta. >
Osservo il nome scrittoci sopra, e sorrido, tra me e me.
Pronuncio il nome, e vengo inghiottito da un caleidoscopio di colori e suoni.
Mi ritrovo su una passerella metallica che conduce ad un edificio, una titanica bolla di cristallo sospesa in un universo fatto di luce e silenzio. La passerella è deserta, e due enormi omaccioni completamente nudi che sembrano fuoriusciti da un dipinto dallo stile ellenico mi attendono con le mani incrociate.
< Lynx di Manhattan? >, mi fanno.
< Chi lo vuole sapere? >
<Quello che possiede questo posto, imbecille dal pacco lucido. Sapeva del tuo arrivo. Ha detto che vuole vederti. >, e mi lasciano passare.
Il Valhalla è tutto ciò che ci si potrebbe aspettare da un posto del genere. Superumani in armature scintillanti che sorseggiano drink, droidi che compongono ballate e poemi usando codici binari, creature mitologiche ed angeli che bevono ai banconi fatti di pura luce, Asteroidi viventi grossi quanto automobili che intrattengono conversazioni riguardanti etica e morale con eroi in costume provenienti da pianeti morenti e cresciuti da contadini del Kansas, Dj metà uomini e metà androidi, programmi antropomorfici catapultati fuori dal computer. Tutto questo davanti a me, una sala circolare colorata come un prisma, che alterna tonalità che vanno dal rosso acceso al viola scuro. Una sala a più piani, al cui centro parte una scala a chiocciola che conduce fino alla sommità del locale, dove immagino ci sia l'ufficio del proprietario.
E tutto quel che riesco a pensare adesso è: ma un cazzo di ascensore?
Mi faccio qualcosa come cinque piani a piedi, ma cosa sarà mai quando ho dalla mia un allenamento che fa di me un avventuriero in costume? E a allora, eccomi, all'ultimo piano. Posso quasi toccare la superficie di questa bolla. Ma non sono qui per comportarmi come un adolescente. Mi avvicino alla porta dell'ufficio, ma prima che possa bussare, qualcuno mi dice
< Avanti. >
E la voce è strana. Come se non riuscissi a catalogarne il timbro, come se non riuscissi a capire se sia la voce di un uomo o di una donna, se sia vecchio o giovane, se sia una voce piacevole o terribilmente inquietante.
Faccio il mio ingresso nell'ufficio.
< Ciao, Mangrove. >
L'interno è un semplice ufficio come sarebbe quello di un tipico dirigente di banca. Ambiente asettico, freddo, non come il resto del locale.
< Chi è Mangrove, signore? >
< Ehi, Mangrove. Dai. Non prendermi in giro. Sono l'Uomo Variabile. Adesso ho il potere della preveggenza, ma sento già che sta per lasciarmi. Dobbiamo parlare, Mangrove. >
L'Uomo Variabile. Trench rosso, blu e giallo, volto e mani completamente fasciate, ed un paio di lenti scure a coprirne gli occhi.
< Riguardo Beast Man, Mangrove. Adesso ti levi di dosso quell'aria da Crociato Incappucciato della Notte con tanto di mazza in culo, ti siedi, e discutiamo a quattr'occhi? >
venerdì 13 gennaio 2012
Il Killer di Maschere - parte uno
Il Covo è silenzioso, come la maggior parte del tempo. Sto esaminando alcuni filmati estrapolati da delle mini videocamere che io stesso mi sono occupato di piazzare qui e là, in giro per la città. Quando si è un playboy miliardario si ha molto tempo libero. Bernie è poco lontano, sta stirando il mantello. Mi sorride, come fa sempre. E' muto, ma quel sorriso vale per me più di mille parole.
Ma il sorriso di Bernie me lo concedo solo un attimo, poi ritorno con l'attenzione sui filmati.
Eroi. Maschere. Quanti ce ne sono lì fuori? Non solo a New York, ma in giro per tutta l'America. Anche troppi. Gli eroi in costume sono esplosi come se fosse una moda, un gioco, una follia collettiva.
E follia è il termine adatto per descrivere al meglio alcuni di loro.
Il videoregistratore manda in onda un servizio ormai vecchiotto, risalente ad un annetto fa. Osservo in silenzio il viso spaurito del senatore RON GLADSON che implora un uomo con una maschera da teschio. Nailer.
La precisione con cui Gladson viene crocifisso alla parete di una chiesa gotica, ed il modo in cui la carne viene scarnificata per formare una croce è quella di un chirurgo. Lo osservo bruciare vivo e sento le sue urla attraverso le casse malridotte del videoregistratore.
Non va affatto bene.
Mi alzo dalla poltroncina, e comincio a truccarmi. Mentre salgo verso la superficie lancio un'ultima occhiata a Bernie.
< Non aspettarmi in piedi. >
Sono bravo a travestirmi. Un po' di protesi qua e là, barba finta, cerone, e sembro un perfetto barbone drogato. Sono appoggiato alla parete di un vicolo buio, stringo tra le mani una bottiglia di pessima vodka, ed aspetto.
Sono puntuali come gli inglesi all'ora del te'.
< Ehi, vecchio! > mi urlano. < Questo è un quartiere perbene, e a noi non va che un ubriacone perditempo liberale come te stia qui ad insozzare le nostre strade. > Tra le loro mani ossute da diciottenni segaioli stringono mazze da baseball troppo pesanti per i loro fisici da rachitici. Ma questo non è un lavoro per me. So bene che lui presto sarà qui.
Mi alzo lentamente, fingo di barcollare.
< Mi scuso, ragazzi. Stavo qui per i fatti miei, e non credevo che questo vicolo fosse di proprietà di qualcuno. >
Non faccio che farli incazzare ancora di più. Schivo un colpo, e poi un altro. E' in ritardo.
Eppure, non tarda ad arrivare. Lo vedo da lontano, ed ho giusto il tempo di ripararmi dietro un bidone. Vengeance trivella di colpi di pistola i quattro bulletti naziskin. Se non avessi fatto attenzione, Vengeance avrebbe ucciso anche la persona che doveva salvare. Gattonando e singhiozzando mi avvicino a ques'uomo vestito di nero, gli porgo una mano piangendo.
< Oh, grazie, signore. Grazie. Mi avrebbero ucciso, se non fosse stato per lei. >
Quello se ne va senza battere ciglio. Lo osservo scomparire nell'ombra. Un altro modus operandi da aggiungere alla lista. Qualche ora più tardi sono appollaiato accanto ad un gargoyle ad Hell's Gate. Eroi. Ce ne sono fin troppi, in questa città. Mi calo di sotto, e da qui riesco a vederlo. C'è un corpo riverso in un vicolo buio. Mi ci avvicino, e lo osservo.
Si tratta di Beast Man, un altro dei così detti eroi. Beast Man è un armadio a tre ante alto sui due metri, peloso come un Big Foot ed indossa una tutina gialla e nera. Quello che sembra essere il foro di un proiettile al centro degli occhi è la causa della morte. Gli occhi vitrei di Beast Man mi osservano.
Che Beast Man sia caduto finalmente nella trappola di qualche boss a cui aveva rotto le uova nel paniere? Un omicidio politico? Chi lo voleva morto? Mi avvicino al corpo, e cerco eventuali indizi. Gli frugo nelle tasche della tutina gialla, e allora lo trovo. Un biglietto. Ma sopra di esso vi è un codice a barre, con scrittoci sopra: Vallhalla - Bar extradimensionale per superumani.
Ma il sorriso di Bernie me lo concedo solo un attimo, poi ritorno con l'attenzione sui filmati.
Eroi. Maschere. Quanti ce ne sono lì fuori? Non solo a New York, ma in giro per tutta l'America. Anche troppi. Gli eroi in costume sono esplosi come se fosse una moda, un gioco, una follia collettiva.
E follia è il termine adatto per descrivere al meglio alcuni di loro.
Il videoregistratore manda in onda un servizio ormai vecchiotto, risalente ad un annetto fa. Osservo in silenzio il viso spaurito del senatore RON GLADSON che implora un uomo con una maschera da teschio. Nailer.
La precisione con cui Gladson viene crocifisso alla parete di una chiesa gotica, ed il modo in cui la carne viene scarnificata per formare una croce è quella di un chirurgo. Lo osservo bruciare vivo e sento le sue urla attraverso le casse malridotte del videoregistratore.
Non va affatto bene.
Mi alzo dalla poltroncina, e comincio a truccarmi. Mentre salgo verso la superficie lancio un'ultima occhiata a Bernie.
< Non aspettarmi in piedi. >
Sono bravo a travestirmi. Un po' di protesi qua e là, barba finta, cerone, e sembro un perfetto barbone drogato. Sono appoggiato alla parete di un vicolo buio, stringo tra le mani una bottiglia di pessima vodka, ed aspetto.
Sono puntuali come gli inglesi all'ora del te'.
< Ehi, vecchio! > mi urlano. < Questo è un quartiere perbene, e a noi non va che un ubriacone perditempo liberale come te stia qui ad insozzare le nostre strade. > Tra le loro mani ossute da diciottenni segaioli stringono mazze da baseball troppo pesanti per i loro fisici da rachitici. Ma questo non è un lavoro per me. So bene che lui presto sarà qui.
Mi alzo lentamente, fingo di barcollare.
< Mi scuso, ragazzi. Stavo qui per i fatti miei, e non credevo che questo vicolo fosse di proprietà di qualcuno. >
Non faccio che farli incazzare ancora di più. Schivo un colpo, e poi un altro. E' in ritardo.
Eppure, non tarda ad arrivare. Lo vedo da lontano, ed ho giusto il tempo di ripararmi dietro un bidone. Vengeance trivella di colpi di pistola i quattro bulletti naziskin. Se non avessi fatto attenzione, Vengeance avrebbe ucciso anche la persona che doveva salvare. Gattonando e singhiozzando mi avvicino a ques'uomo vestito di nero, gli porgo una mano piangendo.
< Oh, grazie, signore. Grazie. Mi avrebbero ucciso, se non fosse stato per lei. >
Quello se ne va senza battere ciglio. Lo osservo scomparire nell'ombra. Un altro modus operandi da aggiungere alla lista. Qualche ora più tardi sono appollaiato accanto ad un gargoyle ad Hell's Gate. Eroi. Ce ne sono fin troppi, in questa città. Mi calo di sotto, e da qui riesco a vederlo. C'è un corpo riverso in un vicolo buio. Mi ci avvicino, e lo osservo.
Si tratta di Beast Man, un altro dei così detti eroi. Beast Man è un armadio a tre ante alto sui due metri, peloso come un Big Foot ed indossa una tutina gialla e nera. Quello che sembra essere il foro di un proiettile al centro degli occhi è la causa della morte. Gli occhi vitrei di Beast Man mi osservano.
Che Beast Man sia caduto finalmente nella trappola di qualche boss a cui aveva rotto le uova nel paniere? Un omicidio politico? Chi lo voleva morto? Mi avvicino al corpo, e cerco eventuali indizi. Gli frugo nelle tasche della tutina gialla, e allora lo trovo. Un biglietto. Ma sopra di esso vi è un codice a barre, con scrittoci sopra: Vallhalla - Bar extradimensionale per superumani.
sabato 19 novembre 2011
Il serraglio
Ricordo mio padre.
Mi faceva paura.
Sono intrappolato nella presa di una camicia di forza, all'interno di un'automobile, sott'acqua. Senza dubbio è l'Hudson.
Quando compii dieci anni ricordo che mio padre mi fece sedere nel suo studio e stetti lì tre ore ad imparare l'intero albero genealogico della nostra famiglia,senza il minimo errore, sino a risalire al 1260. Col tempo ho imparato che quel albero ha radici che si spingono ancora di più nelle fondamenta di questa terra.
Mangrove Pierce Sr. era un uomo duro, metodologico. Amava l'ordine e la razionalità, non lasciava che nulla sfuggisse alla sua attenzione
Mangrove Pierce Sr. pensava a tutto.
Mangrove Pierce pensa a tutto.
Un'isola dalla testa di moro, sperduta chissà dove. Dieci uomini che avrebbero potuto cambiare il mondo. Ma c'è sempre qualcuno che deve rovinare le cose. C'è sempre una serpe nel giardino.
Mi lasciò fuggire.
Mi hanno lasciato in vita. Cattivi da fumetto. La camicia di forza è la parte più difficile. Devo lasciare che l'irreale penetri nel reale, credere che sia possibile. Una falla nel sistema, una falla nel meccanismo ad orologeria. Il violino fuor di chiave.
Un pesce mi scruta al di là del parabrezza con occhi vacui. Cos'è possibile? Impossibile è uscire di casa ogni sera ed affrontare 69 ninja fuori di testa, o semplicemente afferrare quella maschera e lasciare che il lattice la faccia aderire sulla pelle? Lasciare che le mani afferrino quella maschera è più complicato di tutto il resto. Dopo di questo, tutto è in discesa. Dopo di questo essere intrappolato in una camicia di forza sott'acqua diventa solo fastidioso.
Dopo qualche minuto sono libero. Mi tocco il viso. Non mi hanno tolto la maschera, per onorare il guerriero e la sua volontà. Eppure mi hanno portato via la Lynx-cintura. Marpioni.
Mangrove Pierce pensa a tutto. Infilo senza troppo ritegno la mano nelle mutande, ed afferro un esplosivo. Battute goliardiche esplicitamente sessuali a parte, immaginavo che non avrebbero mai cercato proprio... lì.
Mi riparo dietro il sedile posteriore, e lancio l'esplosivo contro il parabrezza. Il tempo sembra scorrere infinito lungo una destinazione che non esiste. Ritorno ai miei dieci anni.
Dopo quelle tre ore passate ad imparare quell'albero genealogico, fino a discendere al 1260 ricordo che andai con mio padre e mia madre a visitare il serraglio di un importante amico di famiglia, nel sud-est asiatico. Ricordo che per qualche motivo sconosciuto, ad un certo punto rimasi lì, da solo. I miei genitori probabilmente s'erano allontanati per qualche minuto. Quel serraglio puzzava di feci di scimmia e di uccello, e fu lì che la vidi per la prima volta. Mi avvicinai alla gabbia con passi incerti, e lei era lì, che mi scrutava con quei suoi occhi gialli. Stringeva nella bocca elegante un topolino a cui aveva spezzato il collo con la stessa facilità con cui respirava. Ricordo che quegli occhi gialli spiavano all'interno della mia anima con la stessa intensità con cui nessun occhio umano avrebbe mai fatto in una vita intera, più nel profondo di quanto mai avrebbero fatto gli occhi di mio padre o quelli di mia madre. Perché quegli occhi gialli scrutavano ogni giorno l'abisso oscuro che ognuno di noi ha abbandonato ormai da diverse vite passate, da intere generazioni, da interi eoni, da quando camminavamo a piedi scalzi sulla terra. E quegli occhi gialli volevano spingermi in quel baratro ancora una volta, farmi ricordare cosa si prova di fronte... di fronte a tutto quello che ignoriamo quando siamo svegli e che ricordiamo per qualche secondo, nei sogni, per poi dimenticare di nuovo al mattino, appena svegliati.
Che mio padre l'avesse intuito? Era lo scopo di quell'albero genealogico?
La puzza del serraglio mi dava alla testa, avevo voglia di vomitare, e quegli occhi gialli erano come un arpione agganciato al mio cuore ed alla mia anima. Gli occhi di quella lince erano un urlo silenzioso, ed io lo stavo ascoltando con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, atterrito dalla paura. Avrei voluto strapparmi il cuore ed offrirglielo in sacrificio. Scappai via spaventato perché non riuscivo a capire; corsi tra le braccia di mia madre. Lei mi disse che la puzza non ci sarebbe stata più, dopo un po', che c'avrei fatto l'abitudine.
Il parabrezza va in frantumi, l'acqua riempie in pochi istanti l'abitacolo.
Difficile. Niente affatto impossibile.
La notte dopo il Tai Mien è in festa, i Letali 69 stanno banchettando in onore della mia onorevole morte. Con loro c'è un elemento che stona con l'intero ambiente orientale. Un uomo in giacca e cravatta, occhialuto, di buon rango sociale. Probabilmente è l'intermediario di chi ha voluto la mia morte.
Ho piazzato gli esplosivi durante la mattinata, nessuno ha badato ad un povero drogato che girava con fare circospetto intorno al locale. Mi presento a loro incappucciato, con una Lynx-cintura di riserva, appeso ad una trave. Non mi è risultato difficile intrufolarmi. Loro mi guardano divertiti.
<Signori>, esordisco, <avete cenato bene.>
E dopo il locale è scosso dalle esplosioni.
Bum-bum-bum, il ritmo del mio cuore e delle esplosioni sono sincronizzati. Sembra uno spettacolo pirotecnico.
I Letali 69 abbandonano il locale presi dal panico, e si disperdono nella pioggia. Osservo da lontano l'uomo in giacca e cravatta che scompare correndo come un ossesso nella notte. E' strano. Appollaiato qui, nella notte di Hell's Gate, sento un puzzo familiare. Il puzzo del serraglio. E' ritornato, la sento ovunque, in ogni vicolo di questa città.
Questa città è il mio parco giochi. Questa città è il mio serraglio.
So con chi dovrò parlare, stanotte.
Penitenziario di Stato, quella notte stessa.
Wallace Sage è rintanato nella sua cella, con le mani strette tra loro ed appoggiate sulle ginocchia. Una luna piena filtra dalla finestra del corridoio su cui dà la sua cella. Dall'ombra emerge un secondino, il volto è nascosto dalla penombra del corridoio.
Il secondino lo spia.
<Ancora non hai capito>, gli dice. <Io non posso essere fermato. Posso raggiungerti ovunque, Sage. Posso rendere questa prigionia ancora peggiore di quanto non sia già.>
<Quando finirà?>, gli chiede Sage, con un sorriso sardonico stampato sulla sua faccia smunta.
Il secondino si volta, e mentre Sage ascolta il rumore dei passi che si fa pian piano più labile, nella notte, quello gli risponde.
<Non finisce mai.>
Mi faceva paura.
Sono intrappolato nella presa di una camicia di forza, all'interno di un'automobile, sott'acqua. Senza dubbio è l'Hudson.
Quando compii dieci anni ricordo che mio padre mi fece sedere nel suo studio e stetti lì tre ore ad imparare l'intero albero genealogico della nostra famiglia,senza il minimo errore, sino a risalire al 1260. Col tempo ho imparato che quel albero ha radici che si spingono ancora di più nelle fondamenta di questa terra.
Mangrove Pierce Sr. era un uomo duro, metodologico. Amava l'ordine e la razionalità, non lasciava che nulla sfuggisse alla sua attenzione
Mangrove Pierce Sr. pensava a tutto.
Mangrove Pierce pensa a tutto.
Un'isola dalla testa di moro, sperduta chissà dove. Dieci uomini che avrebbero potuto cambiare il mondo. Ma c'è sempre qualcuno che deve rovinare le cose. C'è sempre una serpe nel giardino.
Mi lasciò fuggire.
Mi hanno lasciato in vita. Cattivi da fumetto. La camicia di forza è la parte più difficile. Devo lasciare che l'irreale penetri nel reale, credere che sia possibile. Una falla nel sistema, una falla nel meccanismo ad orologeria. Il violino fuor di chiave.
Un pesce mi scruta al di là del parabrezza con occhi vacui. Cos'è possibile? Impossibile è uscire di casa ogni sera ed affrontare 69 ninja fuori di testa, o semplicemente afferrare quella maschera e lasciare che il lattice la faccia aderire sulla pelle? Lasciare che le mani afferrino quella maschera è più complicato di tutto il resto. Dopo di questo, tutto è in discesa. Dopo di questo essere intrappolato in una camicia di forza sott'acqua diventa solo fastidioso.
Dopo qualche minuto sono libero. Mi tocco il viso. Non mi hanno tolto la maschera, per onorare il guerriero e la sua volontà. Eppure mi hanno portato via la Lynx-cintura. Marpioni.
Mangrove Pierce pensa a tutto. Infilo senza troppo ritegno la mano nelle mutande, ed afferro un esplosivo. Battute goliardiche esplicitamente sessuali a parte, immaginavo che non avrebbero mai cercato proprio... lì.
Mi riparo dietro il sedile posteriore, e lancio l'esplosivo contro il parabrezza. Il tempo sembra scorrere infinito lungo una destinazione che non esiste. Ritorno ai miei dieci anni.
Dopo quelle tre ore passate ad imparare quell'albero genealogico, fino a discendere al 1260 ricordo che andai con mio padre e mia madre a visitare il serraglio di un importante amico di famiglia, nel sud-est asiatico. Ricordo che per qualche motivo sconosciuto, ad un certo punto rimasi lì, da solo. I miei genitori probabilmente s'erano allontanati per qualche minuto. Quel serraglio puzzava di feci di scimmia e di uccello, e fu lì che la vidi per la prima volta. Mi avvicinai alla gabbia con passi incerti, e lei era lì, che mi scrutava con quei suoi occhi gialli. Stringeva nella bocca elegante un topolino a cui aveva spezzato il collo con la stessa facilità con cui respirava. Ricordo che quegli occhi gialli spiavano all'interno della mia anima con la stessa intensità con cui nessun occhio umano avrebbe mai fatto in una vita intera, più nel profondo di quanto mai avrebbero fatto gli occhi di mio padre o quelli di mia madre. Perché quegli occhi gialli scrutavano ogni giorno l'abisso oscuro che ognuno di noi ha abbandonato ormai da diverse vite passate, da intere generazioni, da interi eoni, da quando camminavamo a piedi scalzi sulla terra. E quegli occhi gialli volevano spingermi in quel baratro ancora una volta, farmi ricordare cosa si prova di fronte... di fronte a tutto quello che ignoriamo quando siamo svegli e che ricordiamo per qualche secondo, nei sogni, per poi dimenticare di nuovo al mattino, appena svegliati.
Che mio padre l'avesse intuito? Era lo scopo di quell'albero genealogico?
La puzza del serraglio mi dava alla testa, avevo voglia di vomitare, e quegli occhi gialli erano come un arpione agganciato al mio cuore ed alla mia anima. Gli occhi di quella lince erano un urlo silenzioso, ed io lo stavo ascoltando con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, atterrito dalla paura. Avrei voluto strapparmi il cuore ed offrirglielo in sacrificio. Scappai via spaventato perché non riuscivo a capire; corsi tra le braccia di mia madre. Lei mi disse che la puzza non ci sarebbe stata più, dopo un po', che c'avrei fatto l'abitudine.
Il parabrezza va in frantumi, l'acqua riempie in pochi istanti l'abitacolo.
Difficile. Niente affatto impossibile.
La notte dopo il Tai Mien è in festa, i Letali 69 stanno banchettando in onore della mia onorevole morte. Con loro c'è un elemento che stona con l'intero ambiente orientale. Un uomo in giacca e cravatta, occhialuto, di buon rango sociale. Probabilmente è l'intermediario di chi ha voluto la mia morte.
Ho piazzato gli esplosivi durante la mattinata, nessuno ha badato ad un povero drogato che girava con fare circospetto intorno al locale. Mi presento a loro incappucciato, con una Lynx-cintura di riserva, appeso ad una trave. Non mi è risultato difficile intrufolarmi. Loro mi guardano divertiti.
<Signori>, esordisco, <avete cenato bene.>
E dopo il locale è scosso dalle esplosioni.
Bum-bum-bum, il ritmo del mio cuore e delle esplosioni sono sincronizzati. Sembra uno spettacolo pirotecnico.
I Letali 69 abbandonano il locale presi dal panico, e si disperdono nella pioggia. Osservo da lontano l'uomo in giacca e cravatta che scompare correndo come un ossesso nella notte. E' strano. Appollaiato qui, nella notte di Hell's Gate, sento un puzzo familiare. Il puzzo del serraglio. E' ritornato, la sento ovunque, in ogni vicolo di questa città.
Questa città è il mio parco giochi. Questa città è il mio serraglio.
So con chi dovrò parlare, stanotte.
Penitenziario di Stato, quella notte stessa.
Wallace Sage è rintanato nella sua cella, con le mani strette tra loro ed appoggiate sulle ginocchia. Una luna piena filtra dalla finestra del corridoio su cui dà la sua cella. Dall'ombra emerge un secondino, il volto è nascosto dalla penombra del corridoio.
Il secondino lo spia.
<Ancora non hai capito>, gli dice. <Io non posso essere fermato. Posso raggiungerti ovunque, Sage. Posso rendere questa prigionia ancora peggiore di quanto non sia già.>
<Quando finirà?>, gli chiede Sage, con un sorriso sardonico stampato sulla sua faccia smunta.
Il secondino si volta, e mentre Sage ascolta il rumore dei passi che si fa pian piano più labile, nella notte, quello gli risponde.
<Non finisce mai.>
martedì 25 ottobre 2011
Relazioni
Quando non ho a che fare con serial killer, gangster e stupratori mi piace prendere un bel caffè. Con colleghi, o semplici amici. Questa sera la mia compagnia è piuttosto influente, scommetto che farà di tutto per non farsi notare. Infondo è una persona a modo, nonostante reciti la parte del vip.
Mangrove Pierce. Lo conosco da una vita, è uno dei miei più cari amici. Ci siamo conosciuti in collegio, quando vivevo ancora a New York con i miei. Le nostre famiglie erano entrambe benestanti, di un certo rango sociale. Certo, in quanto a prestigio i Freeman non potevano neanche essere accostati ai Pierce, ma ci conoscemmo entrambi allo stesso collegio nell'Upper West Side di Manhattan.
Decidiamo di incontrarci in una tavola calda qualunque, dall'aspetto amorevole. Il cielo è terso, colmo di nubi. Lo aspetto fuori dal locale, mentre osservo i Newyorkesi andare a zonzo per le strade, persi nelle loro vite. Ognuno pensa di essere il protagonista del film della propria vita ma in questa vita non siamo mai il protagonista. Siamo solo comparse.
Ed eccolo lì. Mangrove Pierce. Arriva con la sua andatura elegante, composta. Indossa un soprabito grigio, le mani coperte da un paio di guanti neri di ottima fattura. I capelli sono neri, scurissimi, pettinati all'indietro, ma non sporchi ed unti di gel. Sono pieni, folti, ben curati. I baffi di Mangrove alla Clark Gable gli donano un look vecchio stile, da star hollywoodiana anni '30. Gli occhi sono il suo particolare più interessante. Intelligenti, accesi, sembra che siano sempre alla ricerca di qualcosa che non riesco a cogliere. Sembrano quasi spiritati. Sono un buon osservatore.
<Spero proprio che qualche paparazzo idiota non ci scatti qualche foto assieme. Mi immagino già i titoli dei peggiori giornaletti di domani: "Mangrove Pierce: scottante relazione omosessuale proibita con il sergente Robin Freeman?">, mi dice.
<Mi stai dando dell'uomo poco piacente?>, gli rispondo con il sorriso sulle labbra, ed assieme entriamo nella tavola calda. Prendiamo posto al bancone. Io ordino un caffè, Mangrove un succo d'arancia ed un cornetto alla crema. Non ha paura di ingrassare, a quanto pare. Glielo faccio notare.
<Faccio parecchia attività fisica.>, mi dice. Parliamo del più e del meno, gli racconto dell'ultima novità in città: la Lince. Un nuovo avventuriero in costume ha fatto il suo ingresso in società, assieme ai vari Specter e Nailer. Non mi piacciono quei due, ma sembrano piacere molto a Clint Creed. Li appoggia, alla sua maniera.
E mentre gli racconto di uomini mascherati e di mirabolanti superpoteri Mangrove Pierce non batte ciglio. E' incredibile. Quando ero ragazzino non so cosa avrei dato per vedere dal vivo un vero supereroe. E' per questo che mi sono arruolato in polizia, per servire la legge. Credevo che indossare una maschera fosse impossibile e pericoloso, oltre che da idioti. Dovevo arrivarci, che il mondo fosse pieno di idioti.
<Questa città andrà a rotoli.>, mi dice Mangrove, mentre sorseggia con pacatezza il suo succo d'arancia. Credo di sapere il perché, e lui mi risponde prima che possa chiederglielo.
<Sono solo un branco di fascisti, questi eroi mascherati. Individui disturbati, che si elevano a giudice, giuria e boia di poveri dementi che avrebbero soltanto bisogno di un giusto processo. E... aspetta. So che vuoi dire. Se uno di loro stuprasse tua madre, saresti ancora a favore del giusto processo? Tu cosa preferiresti? Il giusto processo o l'anarchia dilagante per le strade, dove ognuno si fa giustizia da solo? Probabilmente non tutti sono adatti ad essere un eroe in costume. Lui è il violino fuor di chiave. Lui è la falla nel sistema.>
Se stuprassero tua madre... il solito Mangrove. I suoi genitori sono morti parecchio tempo fa, quando aveva diciott'anni. La notizia divenne uno scandalo e restò sulla bocca di tutti per parecchio tempo. Le vere cause della morte non sono mai state rivelate.
<Io non ho detto niente...>, gli dico. Non gli stacco gli occhi di dosso.
<A volte gli eroi in costume hanno una motivazione, un dramma, alla base delle loro azioni, sai?>, gli dico. Non mi preoccupo di risultare scortese per la non velata allusione. Mangrove ama le persone schiette.
<Ti riferisci a me? Non è il mio caso. Io mi sono ripreso, Robin.> , ora mi guarda anche lui. Il suo sguardo è un baratro.
<Tu ti sei ripreso, Robin?>
Penitenziario di Stato, New York. Ieri pomeriggio.
L'ora di visite. L'uomo perbene che si era recato alla Cantina del gatto nero è faccia a faccia con Wallace Sage. Due collaboratori fidati, padrone e servo, che discutono su come siano andate le cose. L'ambiente è silenzioso ed asettico, l'uomo perbene è un docile sottomesso.
Il Sussurratore era riuscito a scovare la Lince senza problemi; se durante i primi tempi dei suoi avvistamenti l'avventuriero in costume sembrava operare su tutta Manhattan, adesso pareva stabilmente agire ad Hell's Gate. Trent'anni fa Hell's Gate non aveva questo nome, bensì era conosciuta come Wellfare Gate. Doveva essere uno dei quartieri di Manhattan più lussuosi. Ma nulla va mai come ci si aspetta. Cancellata la 'w' e 'fare' a causa della mano pesante dei teppisti, 'Wellfare' è diventato 'Hell's'. La tana della Lince, e lì il Sussurratore l'ha scovata.
Ma è rimasto ucciso. L'uomo perbene ha assistito al tutto stringendo tra le mani un binocolo, tenendosi in disparte.
Wallace Sage: un uomo cresciuto con la convinzione che tutto ciò che vuole possa ottenerlo. Ora ciò che vuole è la morte di quell'uomo.
Dietro la facciata da onesto uomo d'affari, si cela un burattinaio della vita criminale. Molti, troppi agganci.
<I Letali 69.>, dice infine con voce fredda.
Hell's Gate, adesso.
Mi fondo tra le architetture gotiche e decadenti di Hell's Gate. Mi mimetizzo tra gargoyles di pietra e colonnati corinzi. Il vento notturno mi sferza il viso, il mantello scarlatto mi fa sembrare un angelo. La maschera nera che mi copre il viso mi ricorda che Mangrove Pierce non esiste. Non questa notte. In nessuna di queste notti. Mi getto nel vuoto, e sento i clacson inondare le strade sotto di me. Osservo questi piccoli uomini con il cipiglio di un dio indifferente. Alzo il braccio destro, e dal polsino del guanto fuoriesce un rampino. Infilza il cemento di un edificio, oscillo nel vuoto come un circense pazzo.
Sento delle urla. Una ragazza è in pericolo, in un vicolo poco lontano. E' orientale, giapponese. Anche il suo aggressore. Un tipo pelato le punta alla gola un coltello. Prima che possa fare qualcosa... semplicemente scompare. Dov'è finito? Una proiezione mentale, una trappola?
Sembra di no. Ai miei piedi c'è un biglietto... mi chino, per raccoglierlo. E' un locale. Probabilmente l'ha perso l'aggressore. 'Il Covo di Tai Mien: lounge bar and happiness'.
Tai Mien. In Giapponese significa maschera.
Mi fiondo nel locale. Sfondo una finestra, ma sembra deserto, al buio. All'improvviso, le luci si accendono.
Dei giapponesi vestiti con smoking, armati di katane e dal viso coperto da una maschera simile alla mia irrompono da una saletta urlando come degli indemoniati. Il capo sembra essere il pelato. Tra le loro fila riconosco anche la ragazza in pericolo.
Le donne.
E' già il secondo attentato che ricevo in brevissimo tempo. Mi sto già facendo amici potenti? Immagino chi possa essere.
Li riconosco. I Letali 69. Mercenari al servizio del miglior offerente. Dicono che il loro servizio sia soddisfacente come un bel '69'.
I giapponesi.
Vediamo un po'. Sessantanove uomini contro uno solo? Mi preparo alla guerra. Tiro su il cappuccio, e stringo i pugni. Mi fiondo da una parte all'altra del locale, il rampino mi consente di muovermi velocemente. Li affronto uno alla volta, schivando le altre katane. Sorrido mentre i miei pugni li colpiscono in faccia. Voglio sentire il dolore, ed il gusto amaro del sangue sulle mie labbra.
Cerco semplicemente di non far in modo che mi si fiondino tutti addosso. A volte ne disarmo uno e faccio uso della katana per affettare qualcun'altro. Ovviamente nessun tipo di ferita mortale.
Ma c'è qualcosa che non va. Che succede? In mezzo a tutta quella calca, mi sembra di vedere una persona familiare. Un quarantenne, caucasico, anch'egli vestito in smoking. Capelli pettinati all'indietro, baffi ben curati.
Mangrove Pierce Senior. Mio padre. Allucinazione. Mi distraggo quel tanto che basta affinché il manico di una katana mi colpisca alla testa, facendomi perdere i sensi.
Tutto diventa buio.
Quando mi risveglio mi ritrovo avvinghiato ad una camicia di forza, dentro un automobile. Sott'acqua. Cattivi da fumetto. Bastava un colpo alla testa ben assestato.
Mangrove Pierce. Lo conosco da una vita, è uno dei miei più cari amici. Ci siamo conosciuti in collegio, quando vivevo ancora a New York con i miei. Le nostre famiglie erano entrambe benestanti, di un certo rango sociale. Certo, in quanto a prestigio i Freeman non potevano neanche essere accostati ai Pierce, ma ci conoscemmo entrambi allo stesso collegio nell'Upper West Side di Manhattan.
Decidiamo di incontrarci in una tavola calda qualunque, dall'aspetto amorevole. Il cielo è terso, colmo di nubi. Lo aspetto fuori dal locale, mentre osservo i Newyorkesi andare a zonzo per le strade, persi nelle loro vite. Ognuno pensa di essere il protagonista del film della propria vita ma in questa vita non siamo mai il protagonista. Siamo solo comparse.
Ed eccolo lì. Mangrove Pierce. Arriva con la sua andatura elegante, composta. Indossa un soprabito grigio, le mani coperte da un paio di guanti neri di ottima fattura. I capelli sono neri, scurissimi, pettinati all'indietro, ma non sporchi ed unti di gel. Sono pieni, folti, ben curati. I baffi di Mangrove alla Clark Gable gli donano un look vecchio stile, da star hollywoodiana anni '30. Gli occhi sono il suo particolare più interessante. Intelligenti, accesi, sembra che siano sempre alla ricerca di qualcosa che non riesco a cogliere. Sembrano quasi spiritati. Sono un buon osservatore.
<Spero proprio che qualche paparazzo idiota non ci scatti qualche foto assieme. Mi immagino già i titoli dei peggiori giornaletti di domani: "Mangrove Pierce: scottante relazione omosessuale proibita con il sergente Robin Freeman?">, mi dice.
<Mi stai dando dell'uomo poco piacente?>, gli rispondo con il sorriso sulle labbra, ed assieme entriamo nella tavola calda. Prendiamo posto al bancone. Io ordino un caffè, Mangrove un succo d'arancia ed un cornetto alla crema. Non ha paura di ingrassare, a quanto pare. Glielo faccio notare.
<Faccio parecchia attività fisica.>, mi dice. Parliamo del più e del meno, gli racconto dell'ultima novità in città: la Lince. Un nuovo avventuriero in costume ha fatto il suo ingresso in società, assieme ai vari Specter e Nailer. Non mi piacciono quei due, ma sembrano piacere molto a Clint Creed. Li appoggia, alla sua maniera.
E mentre gli racconto di uomini mascherati e di mirabolanti superpoteri Mangrove Pierce non batte ciglio. E' incredibile. Quando ero ragazzino non so cosa avrei dato per vedere dal vivo un vero supereroe. E' per questo che mi sono arruolato in polizia, per servire la legge. Credevo che indossare una maschera fosse impossibile e pericoloso, oltre che da idioti. Dovevo arrivarci, che il mondo fosse pieno di idioti.
<Questa città andrà a rotoli.>, mi dice Mangrove, mentre sorseggia con pacatezza il suo succo d'arancia. Credo di sapere il perché, e lui mi risponde prima che possa chiederglielo.
<Sono solo un branco di fascisti, questi eroi mascherati. Individui disturbati, che si elevano a giudice, giuria e boia di poveri dementi che avrebbero soltanto bisogno di un giusto processo. E... aspetta. So che vuoi dire. Se uno di loro stuprasse tua madre, saresti ancora a favore del giusto processo? Tu cosa preferiresti? Il giusto processo o l'anarchia dilagante per le strade, dove ognuno si fa giustizia da solo? Probabilmente non tutti sono adatti ad essere un eroe in costume. Lui è il violino fuor di chiave. Lui è la falla nel sistema.>
Se stuprassero tua madre... il solito Mangrove. I suoi genitori sono morti parecchio tempo fa, quando aveva diciott'anni. La notizia divenne uno scandalo e restò sulla bocca di tutti per parecchio tempo. Le vere cause della morte non sono mai state rivelate.
<Io non ho detto niente...>, gli dico. Non gli stacco gli occhi di dosso.
<A volte gli eroi in costume hanno una motivazione, un dramma, alla base delle loro azioni, sai?>, gli dico. Non mi preoccupo di risultare scortese per la non velata allusione. Mangrove ama le persone schiette.
<Ti riferisci a me? Non è il mio caso. Io mi sono ripreso, Robin.> , ora mi guarda anche lui. Il suo sguardo è un baratro.
<Tu ti sei ripreso, Robin?>
Penitenziario di Stato, New York. Ieri pomeriggio.
L'ora di visite. L'uomo perbene che si era recato alla Cantina del gatto nero è faccia a faccia con Wallace Sage. Due collaboratori fidati, padrone e servo, che discutono su come siano andate le cose. L'ambiente è silenzioso ed asettico, l'uomo perbene è un docile sottomesso.
Il Sussurratore era riuscito a scovare la Lince senza problemi; se durante i primi tempi dei suoi avvistamenti l'avventuriero in costume sembrava operare su tutta Manhattan, adesso pareva stabilmente agire ad Hell's Gate. Trent'anni fa Hell's Gate non aveva questo nome, bensì era conosciuta come Wellfare Gate. Doveva essere uno dei quartieri di Manhattan più lussuosi. Ma nulla va mai come ci si aspetta. Cancellata la 'w' e 'fare' a causa della mano pesante dei teppisti, 'Wellfare' è diventato 'Hell's'. La tana della Lince, e lì il Sussurratore l'ha scovata.
Ma è rimasto ucciso. L'uomo perbene ha assistito al tutto stringendo tra le mani un binocolo, tenendosi in disparte.
Wallace Sage: un uomo cresciuto con la convinzione che tutto ciò che vuole possa ottenerlo. Ora ciò che vuole è la morte di quell'uomo.
Dietro la facciata da onesto uomo d'affari, si cela un burattinaio della vita criminale. Molti, troppi agganci.
<I Letali 69.>, dice infine con voce fredda.
Hell's Gate, adesso.
Mi fondo tra le architetture gotiche e decadenti di Hell's Gate. Mi mimetizzo tra gargoyles di pietra e colonnati corinzi. Il vento notturno mi sferza il viso, il mantello scarlatto mi fa sembrare un angelo. La maschera nera che mi copre il viso mi ricorda che Mangrove Pierce non esiste. Non questa notte. In nessuna di queste notti. Mi getto nel vuoto, e sento i clacson inondare le strade sotto di me. Osservo questi piccoli uomini con il cipiglio di un dio indifferente. Alzo il braccio destro, e dal polsino del guanto fuoriesce un rampino. Infilza il cemento di un edificio, oscillo nel vuoto come un circense pazzo.
Sento delle urla. Una ragazza è in pericolo, in un vicolo poco lontano. E' orientale, giapponese. Anche il suo aggressore. Un tipo pelato le punta alla gola un coltello. Prima che possa fare qualcosa... semplicemente scompare. Dov'è finito? Una proiezione mentale, una trappola?
Sembra di no. Ai miei piedi c'è un biglietto... mi chino, per raccoglierlo. E' un locale. Probabilmente l'ha perso l'aggressore. 'Il Covo di Tai Mien: lounge bar and happiness'.
Tai Mien. In Giapponese significa maschera.
Mi fiondo nel locale. Sfondo una finestra, ma sembra deserto, al buio. All'improvviso, le luci si accendono.
Dei giapponesi vestiti con smoking, armati di katane e dal viso coperto da una maschera simile alla mia irrompono da una saletta urlando come degli indemoniati. Il capo sembra essere il pelato. Tra le loro fila riconosco anche la ragazza in pericolo.
Le donne.
E' già il secondo attentato che ricevo in brevissimo tempo. Mi sto già facendo amici potenti? Immagino chi possa essere.
Li riconosco. I Letali 69. Mercenari al servizio del miglior offerente. Dicono che il loro servizio sia soddisfacente come un bel '69'.
I giapponesi.
Vediamo un po'. Sessantanove uomini contro uno solo? Mi preparo alla guerra. Tiro su il cappuccio, e stringo i pugni. Mi fiondo da una parte all'altra del locale, il rampino mi consente di muovermi velocemente. Li affronto uno alla volta, schivando le altre katane. Sorrido mentre i miei pugni li colpiscono in faccia. Voglio sentire il dolore, ed il gusto amaro del sangue sulle mie labbra.
Cerco semplicemente di non far in modo che mi si fiondino tutti addosso. A volte ne disarmo uno e faccio uso della katana per affettare qualcun'altro. Ovviamente nessun tipo di ferita mortale.
Ma c'è qualcosa che non va. Che succede? In mezzo a tutta quella calca, mi sembra di vedere una persona familiare. Un quarantenne, caucasico, anch'egli vestito in smoking. Capelli pettinati all'indietro, baffi ben curati.
Mangrove Pierce Senior. Mio padre. Allucinazione. Mi distraggo quel tanto che basta affinché il manico di una katana mi colpisca alla testa, facendomi perdere i sensi.
Tutto diventa buio.
Quando mi risveglio mi ritrovo avvinghiato ad una camicia di forza, dentro un automobile. Sott'acqua. Cattivi da fumetto. Bastava un colpo alla testa ben assestato.
martedì 18 ottobre 2011
Zone di grigio
Solo, il povero negretto,
in un bosco se ne andò:
ad un pino si impiccò,
e nessuno ne restò.
No. Non è andata esattamente così. Mi accorgo di lei prima ancora che mi rivolga parola. La pelle è alabastro, i capelli sono stracci di notte che le incorniciano dolcemente il viso, la bocca è una ciliegia.
<Mangrove Pierce.>
Qui, al club dei gentiluomini di New York, indosso la maschera delle circostanze, sfoggio il sorriso da porco, le mani si articolano nelle mosse di un esasperato attore shakesperiano un po' ritardato.
<E tu, mia cara, dovresti essere la numero 129 questa settimana.>
Non batte ciglio, e quel sorriso non le si sfila di dosso. Sembra uscita da un film di David Lynch. La cappa di fumo dei sigari dei miei "amici" ci avvolge. Azzardo la seconda mossa.
<Posso sapere cosa induce una bella e giovane donna come te a rivolgere parola ad un vecchio armadio come me? Soprattutto in un luogo così... tremendamente inflazionato, per un corteggiamento.>
<Odio l'arte priva di contenuto. Ero al MoMA poco fa, quindi potrai immaginare. Cercavo qualcosa che potesse attirare meglio la mia attenzione.>
Cerco di sfoggiare la miglior risata strafottente che mi riesca. Mi asciugo persino una lacrima inesistente.
<Oh, signorina. Non so se essere lusingato oppure offeso. Mi hai preferito ad Andy Warhol. E Van Gogh? Non lasciarti fuorviare dalla stramba arte moderna del primo piano! Non hai voluto perderti tra le stella della sua 'Notte Stellata'?>
<Avevo semplicemente voglia di osservare quelle vere, assieme ad una buona compagnia.>
La ragazzina ci sa fare, ha una bella bocca. L'avrà allenata parecchio. Cosa cerca? Il brivido di ritrovarsi avvinghiata con Mangrove Pierce nella foto di un qualunque giornale scandalistico di New York, che mostrerà con orgoglio alle proprie nipoti tra cinquant'anni? Odio le donne prive di contenuto. Accontentiamola.
Ma prima che possa rispondere lei mi anticipa.
<Ci sono ventidue uomini in questa sala, e più o meno altrettante donne, facenti parti della 'crema' dell' alta borghesia Newyorkese. Ogni uomo è un lupo. Sigaro, abiti di una certa classe, portafogli gonfi come un omino Michelin. Ho notato che sono sempre loro a fare il primo passo, ad inquadrare la preda ed a partire all'attacco. Stanotte la quasi totalità dei lupi porterà nel proprio letto una pecora o due. Tutti hanno fatto la prima mossa. Il lupo Mangrove Pierce si limita a gettare battute di fine humor inglese qui e lì, a bere qualche drink, a scherzare con qualche pecora. Eppure alla fine della serata risale da solo sulla propria Rolls Royce. La cosa strana è che lui non risale sulla propria macchina per incapacità personale. E' considerato uno degli uomini più piacenti da Vogue. E' una scelta personale, dunque?>
Mi sforzo di non cancellare dal mio viso il sorriso da porco. Questa è da tenere d'occhio. Sicuramente. Rido di nuovo.
<Sei proprio un tesoro, mia cara. Davvero divertente. Come hai detto di chiamarti?>
<Non l'ho detto. Mi chiamo Medea.>
<Medea! Che nome paradisiaco! Allora, che ne dici di uscircene un po', da questa cappa opprimente di fumo, e goderci lo spettacolo del cielo stellato?>
New York, la notte dopo.
A Crime Alley, ovverosia uno dei peggiori ghetti di New York, esiste un locale su cui ci sono strane voci. 'La cantina del gatto nero'. L'uomo che questa notte fa il suo ingresso nel locale è un uomo perbene, di un certo rango sociale, lavoratore, marito e padre esemplare, che cerca goffamente di sembrare l'esatto opposto. Si avvicina al bancone dove viene servita la birra della peggior classe, annacquata spudoratamente, e chiede con la voce tremolante dove, quando ed in che moda possa parlare con Lui.
Lui. Il Sussurratore. Si dice che sia uno dei miglior 'professionisti' di Crime Alley. E' raro che parli, ma solo che... sussurri. Un tipo caratteristico. Il barista dice all'uomo perbene che se un damerino come lui cerca guai, è proprio quello il tipo giusto. Ridendo come se abbia appena sentito la barzelletta del secolo, lo conduce in un ufficio privato lasciando per un istante gli ubriaconi del bar da soli.
E Lui era lì. Al Sussurratore aspetta un lavoro particolare. Il committente è Wallace Sage, ormai da più di un mese al centro di uno scandalo giudiziario che lo vede implicato come il mandante dell'omicidio dei suoi stessi collaboratori aziendali. A confessare e ad accusarlo come mandante un pesce piccolo della criminalità organizzata, killer italo-americano di nome D'Abbraccio. Un caso particolare. Un killer professionista pestato a sangue e con tale violenza fino ad essere costretto a confessare.
Il Sussurratore sorride sotto la maschera di metallo, ed ascolta.
Adesso.
Il cappuccio e la maschera mi nascondono il viso, i muscoli sono piegati mentre mi sporgo di lato ad osservare il vicolo sotto di me. E' una notte tranquilla. C'è qualcosa che non va. Su questo tetto ci sono due sgabuzzini delle scope e due prese d'aria. Il vento ha cominciato a battere su un quinto oggetto. Mi scanso di lato appena in tempo per evitare l'affondo di una katana. Mi volto. E' lì che mi osserva con quegli occhi vitrei come farebbe un turco affamato con un kebab. La katana è di ottima fattura, forgiata in giappone, ha cinquant'anni circa. L'armatura è coreana. Schivo altri due affondi, mi concentro trattenendo il respiro e facendo scattare il riflesso del tuffatore. Un paio di giravolte mi portano dietro ad uno degli sgabuzzini.
Gli lancio contro un paio di shuriken, ma quel marpione semplicemente li para con quei parapolsi. Non mi sottraggo certo ad un corpo a corpo. Gli corro contro, scivolo lungo la superficie appiccicosa del tetto, lui con un saltello schiva il mio attacco. Mi rialzo, pronto. Miro alle cosce, colpisco le ginocchia e lui si inginocchia dolorante.
Devo disarmarlo ma... era una finta. Per poco non mi asporta il fegato con quella spada. Continua a pressarmi. Non ho mai visto nessuno combattere così. Quanti stili di combattimento conosce? Karate, judo, jeet kune do...
Ho indietreggiato fino al cornicione. Sto per cadere giù...
Un altro fendente. Disperato, gli afferro il braccio e lo spingo di sotto.
Mentre precipita giù non caccia un urlo. Ma lo schianto con il suolo rimbomba in tutto il vicolo.
Mai uccidere. Me l'ero ripromesso. Resto lì per qualche secondo ad osservare la sagoma scompostamente riversa al suolo, poi salto sul cornicione successivo. Il mantello scarlatto è bagnato dalla luce lunare.
Al mio posto un eroe dei fumetti avrebbe trovato tredici risoluzioni per vincere lo scontro senza ricorrere all'omicidio.
Devo migliorare.
mercoledì 24 agosto 2011
Settimana Uno - Fastest Man Alive
Nigel. Un inglese ritardato, alto due metri, sociopatico e cannibale. Ormai è diventato una delle presenze più caratteristiche a Sing Sing. La sua firma sulla scena del delitto era palese, per tutti quelli della scientifica. Nigel è così, non fa nulla per rendersi più "discreto". Proprio non ci arriva con la testa. Tutti noi sapevamo già a chi dare la caccia, ma qualcuno ci ha battuti sul tempo. Sembra che questo tizio si diverta a mettere in ridicolo l'NYPD. Come ha fatto ad essere così veloce e a portarsi appresso uno della stazza di Nigel, e i due bambini rapiti?
La Lince...
La Lince...
Robin Freeman è un buon uomo. Probabilmente uno dei pochi nel NYPD. Dovrò guadagnarmi la sua fiducia.
Sono le quattro del mattino di uno splendido sabato. Un camion portavalori di una delle più importanti banche dello stato è stato dirottato da una banda di malviventi ceceni. Ordinaria amministrazione.
Attivo i comandi, così che l'hyper adapter cominci a sollevarsi e a volare a raso terra. Spingo il piede sull'acceleratore, schivo le automobili che mi arrivano controsenso, mi accecano con i lampeggianti, mi stordiscono con i clacson.
Cavolo, devo proprio dormire.
<Freeman!>, mi urla contro Floss. Mi alzo dalla mia scrivania, osservo l'orario. Le quattro del mattino. Che cavolo sta succedendo?
<Un inseguimento sulla Settima, Freeman! Dei ceceni hanno dirottato un cazzo di camion portavalori, hanno fatto una strage, ed ora cercano di portare quel camion fuori da Manh...>, Floss riceve una chiamata. Testimoni oculari, a quanto sembra.
<Perfetto, ci si mettono pure gli UFO!>
Penso di essere troppo vecchio per questo lavoro.
Affianco il camion. I cattivi mi sparano contro, ma l'hyper adapter non ne risente. Imposto i cannoni laterali destri del veicolo, e miro verso il conducente. Due pallettoni di gas sonnifero spaccano i vetri della vettura, ed in un attimo l'abitacolo è pieno di gas. Il camion comincia a sbandare. Devo muovermi.
L'hyper adapter si solleva sul tetto del camion. Imposto il magnete, e l'hyper adapter ed il camion si fondono. Bene, ora lo manovro io. Comincio a decellerare, parcheggiando il camion impeccabilmente lungo il marciapiede. Le bocche spalancate della gente mi ripagano del mal di testa.
<Chiunque tu sia, ti ordiniamo di abbandonare questo veicolo non identificato e di venire fuori con le mani alzate!>, grida un agente di polizia su una volante appena sopragiunta. Mi sollevo dal camion, e lascio che l'hyper adapter tocchi il suolo di Manhattan.
Fumogeni. In un attimo l'hyper adapter viene occultato dal fumo. Imposto la spinta verticale, ed un battito di ciglia dopo sono oltre la coltre di nuvole sopra Manhattan. All'interno dell'abitacolo del conducente, dentro il guscio di uno dei pallettoni che contenevano il gas sonnifero, i rispettabili colleghi del NYPD troveranno un biglietto della Lince, che pregherà loro di non ringraziarlo troppo.
Cavolo, mi ci vuole un té. Spero che Bernie mi stia aspettando in piedi.
Floss mi convoca nel suo ufficio.
<Intralcio alla legge, Freeman. Voglio che tu organizzi una squadra per stanare questa Lince del cazzo. Questa troia ha bisogno di essere sbattuta in galera. Ci siamo intesi, sergente?>
Si prospetta un'altra settimana di fuoco.
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