Quando non ho a che fare con serial killer, gangster e stupratori mi piace prendere un bel caffè. Con colleghi, o semplici amici. Questa sera la mia compagnia è piuttosto influente, scommetto che farà di tutto per non farsi notare. Infondo è una persona a modo, nonostante reciti la parte del vip.
Mangrove Pierce. Lo conosco da una vita, è uno dei miei più cari amici. Ci siamo conosciuti in collegio, quando vivevo ancora a New York con i miei. Le nostre famiglie erano entrambe benestanti, di un certo rango sociale. Certo, in quanto a prestigio i Freeman non potevano neanche essere accostati ai Pierce, ma ci conoscemmo entrambi allo stesso collegio nell'Upper West Side di Manhattan.
Decidiamo di incontrarci in una tavola calda qualunque, dall'aspetto amorevole. Il cielo è terso, colmo di nubi. Lo aspetto fuori dal locale, mentre osservo i Newyorkesi andare a zonzo per le strade, persi nelle loro vite. Ognuno pensa di essere il protagonista del film della propria vita ma in questa vita non siamo mai il protagonista. Siamo solo comparse.
Ed eccolo lì. Mangrove Pierce. Arriva con la sua andatura elegante, composta. Indossa un soprabito grigio, le mani coperte da un paio di guanti neri di ottima fattura. I capelli sono neri, scurissimi, pettinati all'indietro, ma non sporchi ed unti di gel. Sono pieni, folti, ben curati. I baffi di Mangrove alla Clark Gable gli donano un look vecchio stile, da star hollywoodiana anni '30. Gli occhi sono il suo particolare più interessante. Intelligenti, accesi, sembra che siano sempre alla ricerca di qualcosa che non riesco a cogliere. Sembrano quasi spiritati. Sono un buon osservatore.
<Spero proprio che qualche paparazzo idiota non ci scatti qualche foto assieme. Mi immagino già i titoli dei peggiori giornaletti di domani: "Mangrove Pierce: scottante relazione omosessuale proibita con il sergente Robin Freeman?">, mi dice.
<Mi stai dando dell'uomo poco piacente?>, gli rispondo con il sorriso sulle labbra, ed assieme entriamo nella tavola calda. Prendiamo posto al bancone. Io ordino un caffè, Mangrove un succo d'arancia ed un cornetto alla crema. Non ha paura di ingrassare, a quanto pare. Glielo faccio notare.
<Faccio parecchia attività fisica.>, mi dice. Parliamo del più e del meno, gli racconto dell'ultima novità in città: la Lince. Un nuovo avventuriero in costume ha fatto il suo ingresso in società, assieme ai vari Specter e Nailer. Non mi piacciono quei due, ma sembrano piacere molto a Clint Creed. Li appoggia, alla sua maniera.
E mentre gli racconto di uomini mascherati e di mirabolanti superpoteri Mangrove Pierce non batte ciglio. E' incredibile. Quando ero ragazzino non so cosa avrei dato per vedere dal vivo un vero supereroe. E' per questo che mi sono arruolato in polizia, per servire la legge. Credevo che indossare una maschera fosse impossibile e pericoloso, oltre che da idioti. Dovevo arrivarci, che il mondo fosse pieno di idioti.
<Questa città andrà a rotoli.>, mi dice Mangrove, mentre sorseggia con pacatezza il suo succo d'arancia. Credo di sapere il perché, e lui mi risponde prima che possa chiederglielo.
<Sono solo un branco di fascisti, questi eroi mascherati. Individui disturbati, che si elevano a giudice, giuria e boia di poveri dementi che avrebbero soltanto bisogno di un giusto processo. E... aspetta. So che vuoi dire. Se uno di loro stuprasse tua madre, saresti ancora a favore del giusto processo? Tu cosa preferiresti? Il giusto processo o l'anarchia dilagante per le strade, dove ognuno si fa giustizia da solo? Probabilmente non tutti sono adatti ad essere un eroe in costume. Lui è il violino fuor di chiave. Lui è la falla nel sistema.>
Se stuprassero tua madre... il solito Mangrove. I suoi genitori sono morti parecchio tempo fa, quando aveva diciott'anni. La notizia divenne uno scandalo e restò sulla bocca di tutti per parecchio tempo. Le vere cause della morte non sono mai state rivelate.
<Io non ho detto niente...>, gli dico. Non gli stacco gli occhi di dosso.
<A volte gli eroi in costume hanno una motivazione, un dramma, alla base delle loro azioni, sai?>, gli dico. Non mi preoccupo di risultare scortese per la non velata allusione. Mangrove ama le persone schiette.
<Ti riferisci a me? Non è il mio caso. Io mi sono ripreso, Robin.> , ora mi guarda anche lui. Il suo sguardo è un baratro.
<Tu ti sei ripreso, Robin?>
Penitenziario di Stato, New York. Ieri pomeriggio.
L'ora di visite. L'uomo perbene che si era recato alla Cantina del gatto nero è faccia a faccia con Wallace Sage. Due collaboratori fidati, padrone e servo, che discutono su come siano andate le cose. L'ambiente è silenzioso ed asettico, l'uomo perbene è un docile sottomesso.
Il Sussurratore era riuscito a scovare la Lince senza problemi; se durante i primi tempi dei suoi avvistamenti l'avventuriero in costume sembrava operare su tutta Manhattan, adesso pareva stabilmente agire ad Hell's Gate. Trent'anni fa Hell's Gate non aveva questo nome, bensì era conosciuta come Wellfare Gate. Doveva essere uno dei quartieri di Manhattan più lussuosi. Ma nulla va mai come ci si aspetta. Cancellata la 'w' e 'fare' a causa della mano pesante dei teppisti, 'Wellfare' è diventato 'Hell's'. La tana della Lince, e lì il Sussurratore l'ha scovata.
Ma è rimasto ucciso. L'uomo perbene ha assistito al tutto stringendo tra le mani un binocolo, tenendosi in disparte.
Wallace Sage: un uomo cresciuto con la convinzione che tutto ciò che vuole possa ottenerlo. Ora ciò che vuole è la morte di quell'uomo.
Dietro la facciata da onesto uomo d'affari, si cela un burattinaio della vita criminale. Molti, troppi agganci.
<I Letali 69.>, dice infine con voce fredda.
Hell's Gate, adesso.
Mi fondo tra le architetture gotiche e decadenti di Hell's Gate. Mi mimetizzo tra gargoyles di pietra e colonnati corinzi. Il vento notturno mi sferza il viso, il mantello scarlatto mi fa sembrare un angelo. La maschera nera che mi copre il viso mi ricorda che Mangrove Pierce non esiste. Non questa notte. In nessuna di queste notti. Mi getto nel vuoto, e sento i clacson inondare le strade sotto di me. Osservo questi piccoli uomini con il cipiglio di un dio indifferente. Alzo il braccio destro, e dal polsino del guanto fuoriesce un rampino. Infilza il cemento di un edificio, oscillo nel vuoto come un circense pazzo.
Sento delle urla. Una ragazza è in pericolo, in un vicolo poco lontano. E' orientale, giapponese. Anche il suo aggressore. Un tipo pelato le punta alla gola un coltello. Prima che possa fare qualcosa... semplicemente scompare. Dov'è finito? Una proiezione mentale, una trappola?
Sembra di no. Ai miei piedi c'è un biglietto... mi chino, per raccoglierlo. E' un locale. Probabilmente l'ha perso l'aggressore. 'Il Covo di Tai Mien: lounge bar and happiness'.
Tai Mien. In Giapponese significa maschera.
Mi fiondo nel locale. Sfondo una finestra, ma sembra deserto, al buio. All'improvviso, le luci si accendono.
Dei giapponesi vestiti con smoking, armati di katane e dal viso coperto da una maschera simile alla mia irrompono da una saletta urlando come degli indemoniati. Il capo sembra essere il pelato. Tra le loro fila riconosco anche la ragazza in pericolo.
Le donne.
E' già il secondo attentato che ricevo in brevissimo tempo. Mi sto già facendo amici potenti? Immagino chi possa essere.
Li riconosco. I Letali 69. Mercenari al servizio del miglior offerente. Dicono che il loro servizio sia soddisfacente come un bel '69'.
I giapponesi.
Vediamo un po'. Sessantanove uomini contro uno solo? Mi preparo alla guerra. Tiro su il cappuccio, e stringo i pugni. Mi fiondo da una parte all'altra del locale, il rampino mi consente di muovermi velocemente. Li affronto uno alla volta, schivando le altre katane. Sorrido mentre i miei pugni li colpiscono in faccia. Voglio sentire il dolore, ed il gusto amaro del sangue sulle mie labbra.
Cerco semplicemente di non far in modo che mi si fiondino tutti addosso. A volte ne disarmo uno e faccio uso della katana per affettare qualcun'altro. Ovviamente nessun tipo di ferita mortale.
Ma c'è qualcosa che non va. Che succede? In mezzo a tutta quella calca, mi sembra di vedere una persona familiare. Un quarantenne, caucasico, anch'egli vestito in smoking. Capelli pettinati all'indietro, baffi ben curati.
Mangrove Pierce Senior. Mio padre. Allucinazione. Mi distraggo quel tanto che basta affinché il manico di una katana mi colpisca alla testa, facendomi perdere i sensi.
Tutto diventa buio.
Quando mi risveglio mi ritrovo avvinghiato ad una camicia di forza, dentro un automobile. Sott'acqua. Cattivi da fumetto. Bastava un colpo alla testa ben assestato.
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